Notevole anche l’eco di un lavoro per National Geographic sull’acidificazione del mare ai piedi del Castello aragonese di Ischia. Migliaia di fotografìe popolano gli hard disk della sua casa nel quartiere di Pianura, punto di partenza privilegiato per immersioni nel profondo blu del mare dei Campi Flegrei e delle isole. Dove tutto è iniziato, qualche anno fa. «Andavo a pesca con mio padre, da piccolo – racconta – In apnea nel mare di Ischia, ogni volta, per la disperazione di mamma, tornavo con escoriazioni da meduse o aculei di riccio sotto i piedi. Con un manico d’ombrello avevo creato una fiocina fatta in casa per catturare seppie e polpi. Poi, crescendo, ho iniziato a capire il mare. Approfondendo la mia conoscenza su tutto quel che c’è lì sotto…».
E iniziando a documentarla.
«I primi scatti li ho realizzati nel 1988, avevo diciott’anni e una Nikonos III. Scorfani e nudibranchi, foto semplici. Anche se con la pellicola era tutto diverso: lì sotto avevi soltanto 36 possibilità, altro che quelle sconfinate del digitale. Credo che chi ha provato la fotografìa analogica abbia qualcosa in più, sempre. Scatta come se quella foto debba essere perfetta, impeccabile. Non perde tempo a verificare sul display, sennò rischia di perdere l’attimo fuggente».
Poi lei, Vassallo, ha iniziato a studiare il mare…
«Mi accorgevo che non bastava più trovarmi al momento giusto al posto giusto. Volevo capire cosa fotografavo. Conoscere i miei pesci, comprenderli, avere una cognizione dei loro comportamenti. Così mi sono iscritto alla facoltà di biologia delle produzioni marine della Federico II. Ed è lì che è cambiata la prospettiva: le mie foto hanno iniziato a documentare. Alla dimensione estetica, che ricerco in particolare studiando e valorizzando la luce, ho aggiunto e lo dico senza presunzione alcuna – una competenza scientifica».
Ed è nato, in particolare, un rapporto privilegiato con le meduse, organismi tradizionalmente poco amati. I suoi self ie sono diventati celebri.
«Alle immersioni in profondità alterno spesso ispezioni superficiali, con muta, maschera e pinne. E in una delle mie avventure, nelle grotte di Lucullo a Miseno, mi trovai all’alba immerso tra un centinaio di meduse, quelle che comunemente chiamiamo polmoni di mare. Fu emozionante. Una scena degna dei Tropici, eppure ero a pochi chilometri da casa. Notai poi che alcuni granchi saltavano addosso alle meduse, utilizzandole come fossero dei taxi. Documentai il fenomeno, che in zoologia si chiama “foresia”. Da allora ho iniziato a fotografare le meduse. All’alba e al tramonto. Le trovo bellissime».
Lo vada a spiegare ai bagnanti…
«Ecco, spesso mi fermo a dialogare con dei papà supereroi che le prelevano coi retini per preservare i figli. E improvviso delle lezioni di biologia marina. Partendo da due presupposti: poche sono le specie realmente urticanti e, soprattutto, siamo noi a invadere il loro habitat».
Altri incontri di particolare suggestione?
«Uno degli incontri più straordinari è stato quello con i gattopardi, squaletti mediterranei molto schivi, assolutamente innocui. Accadde di notte, nel mare di Bacoli. In pochi metri d’acqua, in una piccola foresta di posidonia, me ne trovai di fronte tre. Volevo farne un ritratto e trovai l’occasione dopo qualche giorno, di giorno: fui molto fortunato. Nel tratto costiero di Napoli mi è poi capitato di trovarne molti morti sul fondale, quasi un cimitero di squaletti. Catturati accidentalmente dai pescatori e poi gettati in acqua: le sue carni non sono considerate appetibili».

“Da trent’anni mi immergo e scatto: nel golfo ritrovo quello che siamo, splendori e miserie della nostra città”

 

 

Vassallo, lei fotografa sempre più spesso l’interazione tra organismi marini e rifiuti. Com’è la situazione nel golfo di Napoli?
«La presenza della plastica è aumentata a dismisura negli ultimi anni. Ma è pur vero che la coscienza ecologica va sempre più sviluppandosi. Ho visto e documentato situazioni orribili, ammassi di rifiuti sul fondo del mare. Ho immortalato vecchi residui di pneumatici con uova di pesci, polpi che utilizzano rifiuti d’ogni tipo… Quel che non vediamo, e che ci inquieta, è che la plastica si frammenta in particelle sempre più piccole, fino a depositarsi nei tessuti degli organismi, anche in quelli che finiscono nei nostri piatti. Ma il bicchiere può essere mezzo pieno: purché invertiamo la tendenza, subito, evitando che il mare diventi la nostra pattumiera».
Da Bacoli a Procida, le sue foto concorrono nei premi più prestigiosi con quelle scattate nei mari dei Trapici o all’Antartide.
«Ecco, questo mi fa piacere. Racconto il golfo di Napoli e spesso mi premiano nonostante le foto con cui competo immortalino pinguini o balene, squali o coccodrilli. A Marsiglia, nel 2011, vinsi il mio personalissimo Oscar con un polpo a mezz’acqua a Posillipo. A volte basta occhio e un pizzico di fortuna. Ma non ci si improvvisa fotografi…».
Però è ambasciatore dei due volti del nostro mare: la sua bellezza e l’innegabile risvolto della medaglia.
«Il mare di Napoli rispecchia la città che lo sovrasta: una bellezza smisurata, solcata da delfìni e capodogli, con le sue mille contraddizioni. Che io documento, rifiutandomi di proporre solo un’immagine edulcorata del microcosmo sommerso. Però le foto dei mosaici sommersi di Baia hanno girato il mondo, generando flussi turistici rilevanti e mi auguro che lo stesso varrà per il lavoro su Ischia, recentemente finito al Mann nell’ambito della mostra sui cambiamenti climatici».
Con sua moglie Anna ha due gemelli, Paolo e Simone. Ripercorreranno le sue orme?
«Hanno il mio stesso interesse per la natura e adorano seguirmi. Si dilettano con lo snorkeling, da sempre. Se decideranno di raccontare il mare, mi auguro che possano documentare condizioni migliori per le miriadi di organismi che lo popolano, anche a due passi da noi».
 
©RIPRODUZIONE RISERVATAIl fotografo Pasquale Vassallo nelle foto di Riccardo Siano